VERSAMENTI DI SOCI A DOPPIA QUALIFICAZIONE

14 aprile 2020

Angelo Busani

     I versamenti di denaro che i soci effettuano a favore della società partecipata possono essere qualificati come finanziamenti o come apporti di patrimonio: nel primo caso il socio ha il diritto alla restituzione, nel secondo caso il denaro è acquisito dalla società a titolo definitivo. Spetta al socio che pretende la restituzione di quanto versato provare che ha inteso effettuare un finanziamento e non un apporto di patrimonio.

     Lo afferma la cassazione nella decisione 20978 di ieri, rilevando che le erogazioni di somme effettuate dai soci alla società partecipata possono “avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva “in conto capitale (o al tre simili denominazioni)” e che la qualificazione di queste erogazioni nell’uno o nell’altro senso dipende dall’esame della volontà negoziale. La prova, che grava sul socio che agisce per ottenere la restituzione, “deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi”. Nel caso specifico, il giudice di legittimità ha affermato la correttezza del giudizio emanato in appello dove, essendosi rilevato che il versamento era stato sollecitato dall‘organo amministrativo della società in considerazione della “tensione finanziaria in essere”, era stato ritenuto che i versamenti, eseguiti dai soci in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale, dovevano intendersi come effettuati “in conto capitale”.

     Questi versamenti in conto capitale, diversamente dai finanziamenti erogati dai soci, non danno luogo all’obbligo della società di restituzione dell’importo ricevuto, non trattandosi di somme date a titolo di mutuo, ma di capitale di rischio: queste somme, pertanto, possono essere utilizzate per ripianare le perdite o per la sottoscrizione di nuovo capitale e, solo qualora siano stati pagati tutti i debiti, possono essere restituiti ai soci.

     È interessante notare che, in questo caso, il socio che aveva effettuato il versamento, aveva poi ceduto la propria quota di partecipazione al capitale sociale e che, nel relativo atto di cessione, era stata pattuita una clausola secondo la quale la cessione includeva “ogni diritto, azione e ragione spettante al socio cedente nei confronti della società ceduta”. Qualora, dunque, il socio cedente avesse effettuato un finanziamento a favore della società ( e non un apporto di patrimonio) si sarebbe posto anche il tema di stabilire se la cessione della quota di partecipazione al capitale sociale includesse anche il credito alla restituzione del finanziamento. Su questo punto è noto che la cassazione (sentenza 16049/2015, si veda “il sole 24 ore” del 27 ottobre 2015) ritiene che, se il socio finanziatore cede la propria quota di partecipazione al capitale sociale, egli resta titolare dal credito alla restituzione del finanziamento: nel silenzio del contratto di cessione della quota, il credito non si intende ceduto anch’esso.

 

(Dal il sole 24 Ore del 24/08/18)

 

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