AUMENTO CAPITALE, IL SOCIO MOROSO NON VA ESCLUSO

04 febbraio 2020

Se vi è mora del socio nel versamento dovuto a seguito della sottoscrizione di un aumento di capitale sociale deli­berato da una Srl, il socio moroso non può essere escluso dalla società in quanto l'esclusione coinvolgerebbe anche la quota che apparteneva al so­cio anteriormente alla deliberazione di aumento del capitale sociale.

È quanto deciso dalla Cassazione nella sentenza n.1185 del 21 gennaio 2020, nella quale viene statuito dunque che la morosità del socio, non potendo provocare la sua esclu­sione, determina unicamente la ri­duzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall'au­mento non onorato.

Si ha un'eccezione rispetto a que­sta conclusione unicamente nel caso in cui lo statuto disponga l'indivisibi­lità della quota del socio, caso nel quale la quota sottoscritta in sede di aumento del capitale «fa un tutt'uno» con la quota di cui il socio fosse prece­dentemente titolare, con la conse­guenza che, trattandosi di una quota unica, la conseguenza della morosità non può che essere l'esclusione del socio dalla società.

La materia affrontata dalla Cas­sazione è disciplinata dall'articolo 2466 del Codice civile: quando un socio si rende inadempiente rispetto all'obbligo di versamento del capita­le sociale la legge prevede un proce­dimento per effetto del quale, dal­l'iniziale richiesta di adempimento entro trenta giorni rivolta al socio, si perviene, attraverso fasi successive (o alternative), all'azione giudiziale di condanna all'adempimento, alla vendita proporzionale ai soci della quota sottoscritta, secondo il suo valore risultante dall'ultimo bilan­cio approvato, alla vendita della quota all'incanto e, infine, all'esclu­sione del socio, con la conseguente riduzione nominale del capitale so­ciale (effettuata, pertanto, solo in quest'ultima ipotesi).

Qualora, dunque, il socio venga escluso, sebbene egli sia moroso solo in parte e non per l'intero debito del conferimento, la riduzione del capi­tale in proporzione all'intera quota finisce per costituire (per la parte cor­rispondente ai versamenti già ese­guiti) una riduzione non solo nomi­nale, ossia di mero adeguamento alle effettive risorse conferite in società, ma in parte reale, permettendo di li­berare corrispondenti importi, non più vincolati a capitale.

Questo meccanismo, esplicitamente previsto dall'articolo 2466, non può tuttavia essere esteso al caso in cui il socio avesse già conseguito tale sua posizione (senza avere debiti da sottoscrizione) in virtù di una pre­cedente sottoscrizione attuata in fase di costituzione della società o anche in occasione di una precedente ope­razione di aumento del capitale so­ciale). In questa evenienza, il socio non può, invero, essere escluso, in quanto l'esclusione inciderebbe sulla sua già stabilmente acquisita (e non espropriabile) qualità di socio; e l'operazione di riduzione del capitale sociale deve corrispondere al valore nominale della quotala cui sottoscri­zione non è stata onorata.

 (Dal il Sole 24 Ore del 22/01/2020)

 

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